Notule

 

 

(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)

 

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XXI – 25 maggio 2024.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: BREVI INFORMAZIONI]

 

Ictus: le notti molto calde come quelle tropicali aumentano il rischio. Un’indagine su 15 anni di dati dell’Augsburg University Hospital ha rivelato un aumento del 7% del rischio di episodio cerebrovascolare acuto (ictus) dopo notti a temperature tropicali, specialmente in donne e anziani. L’associazione del rischio con l’alta temperatura notturna è aumentata negli anni recenti. Gli autori dello studio, che ipotizzano un collegamento con i recenti cambiamenti climatici, esortano a porre in essere misure preventive. [Cheng He et al., European Heart Journal, ehae 277, 21 maggio 2024].

 

Cannabis: gli adolescenti hanno un rischio di sintomi psicotici 11 volte maggiore. Uno studio condotto da André J. McDonald e colleghi ha riconosciuto uno stretto rapporto tra uso di cannabis e gravi disturbi psicotici con deliri e allucinazioni, con un’associazione età-dipendente e un rischio 11 volte maggiore negli adolescenti. I risultati supportano la teoria neuroevolutiva che indica l’adolescenza come un periodo di estrema vulnerabilità del cervello ai composti della cannabis. La forza di associazione e la gravità dei sintomi psicotici sono in questo studio, come in altri del XXI secolo, maggiori di quelli rilevati fino agli anni Novanta, secondo gli autori dello studio perché la cannabis attuale è più potente di quella del passato. [Fonte: Cambridge University, 22 maggio 2024].

 

Intelligenza Artificiale: DEPLOY classifica i tumori cerebrali col 95% di precisione. Ricercatori dell’Australian National University (ANU) hanno realizzato “DEPLOY” un nuovo strumento di AI che può classificare i tumori cerebrali in 10 sottotipi principali, analizzando immagini al microscopio del tessuto tumorale, con una precisione del 95%. Costituisce un’alternativa più rapida e accessibile di quella del profilo tumorale basato sulla metilazione del DNA, che esamina lo stato di metilazione di migliaia di siti CpG, richiedendo tempi lunghi. L’effettiva utilità e il profilo di errore del 5% dei casi non riconosciuti dovranno essere approfonditi. [Cfr. Nature Medicine – AOP doi: 10.1038/s41591-024-02995-8, 2024].

 

Organo subcommissurale (SCO): il mistero della funzione comincia a svelarsi. L’organo subcommissurale (SCO) è una formazione del cervello a struttura ghiandolare sita all’entrata dell’acquedotto di Silvio. La sua importanza è fuori discussione, perché esiste nella scala zoologica dall’anfiosso all’uomo, ma fino ad oggi non abbiamo ancora una definizione del suo ruolo fisiologico. Tingting Zhang e colleghi hanno concentrato la loro attenzione su 3 geni altamente espressi in SCO: Sspo, Car3 e Spdef, e hanno condotto una sperimentazione che ha rivelato un ruolo critico di SCO nella regolazione dello sviluppo dell’encefalo mediante peptidi secreti. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-024-01639-x, 2024].

 

Clearance del cervello: un’evidenza in contrasto con le conoscenze attuali sul sonno. Si ritiene che un’aumentata clearance del cervello durante il sonno costituisca un’indispensabile funzione per l’eliminazione di tossine e molecole di scarto. Questa nozione è rafforzata dalla costatazione di un’accresciuta clearance cerebrale anche nell’anestesia generale. Andawei Miao e colleghi hanno misurato il ricambio e il movimento di molecole fluorescenti nel cervello di topi maschi, rilevando che il movimento è indipendente da sonno, veglia e anestesia; ma, soprattutto, hanno accertato e dimostrato che la clearance cerebrale è significativamente ridotta, non aumentata, nel sonno e nell’anestesia. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-024-01638-y, 2024].

 

Un circuito per riconoscere le tinte nella visione del colore di Drosophila melanogaster. Anche se il grado di specializzazione evolutiva della retina e di tutte le altre strutture dell’occhio umano non ha nessun paragone nel mondo animale, è noto che le meravigliose abilità connesse con la percezione visiva tipiche della nostra specie sono in gran parte dovute all’integrazione dell’elaborazione di 32 aree corticali interessate dal processo di visione. Se abbiamo il paradigma neurofunzionale umano, ci riesce difficile capire come possa l’occhio composto di un moscerino della frutta (Drosophila melanogaster), con un ganglio cefalico al posto del cervello, distinguere le diverse tinte dei colori.

Nella percezione del colore le lunghezze d’onda della luce proveniente dagli oggetti sono trasformate in quantità derivate di luminosità, saturazione e tinta. Neuroni rispondenti selettivamente alla tinta sono stati rilevati nella corteccia dei primati, ma non si sa se la loro stretta e precisa codifica di banda cromatica sia prodotta da meccanismi dei complessi circuiti cerebrali soprastanti. Ora, Matthias P. Christenson e colleghi hanno scoperto nel lobo ottico di Drosophila neuroni con proprietà selettive per le tinte cromatiche, che consentono analisi al livello di circuito nell’elaborazione del colore. Il modello ricavato dalle osservazioni prevede che le connessioni ricorrenti del circuito siano critiche nella genesi della selettività per la tinta. [Cfr. Nature Neuroscience – AOP doi: 10.1038/s41593-024-01640-4, 2024].

 

L’intelligenza della lontra marina le preserva i denti e le prolunga la vita. Le lontre marine (Enhydra lutris) appartengono a una delle poche specie animali che usa sistematicamente strumenti per accedere al cibo. Le lontre, per soddisfare le proprie esigenze alimentari quando finiscono i ricci e le aliotidi, quei molluschi detti “orecchie di mare”, devono affrontare i gusci di cozze e vongole o la dura corazza dei grandi granchi e di altri crostacei, che metterebbero a serio rischio i loro denti. Un nuovo studio dell’Università del Texas ad Austin e della UCLA a Santa Cruz ha accertato due importanti rinforzi selettivi per l’uso di ausili: 1) gli strumenti consentono di mangiare prede più grandi; 2) gli strumenti consentono di preservare integri i denti necessari per la sopravvivenza. Le femmine impiegano gli strumenti più spesso dei maschi, compensando la minore efficacia fisica. [Fonte: University of Texas at Austin, 16 maggio 2024].

 

Famiglie di balene che vivono vicine apprendono lo stile vocale l’una dall’altra. Lo studio della comunicazione vocale delle balene con un nuovo metodo, sviluppato dai ricercatori del Project Cetacean Translational Initiative, ha dimostrato l’esistenza di un apprendimento sociale dei modi delle vocalizzazioni tra famiglie di balene che vivono in reciproca vicinanza. È interessante notare che, per quanto vi possa essere un’assimilazione di stile, i membri di ciascun clan conservano le segnalazioni identitarie di gruppo e distintive dell’appartenenza al proprio clan. Lo studio, condotto da Antonio Leitao e colleghi coordinati da Giovanni Petri, è stato pubblicato in questi giorni. [Cfr. eLife – AOP doi: 10.7554/eLife.96362.1, 2024].

 

Ricostruito il volto e il cranio di una donna di Neanderthal di 75.000 anni fa. Un team di archeologi e conservatori, guidati da paleoantropologi dell’Università di Cambridge, ha ricostruito da centinaia di frammenti ossei il cranio schiacciato di una donna di Neanderthal, ed è riuscita a recuperare i profili di sopracciglia, naso, aree zigomatiche e mascellari, delineando la morfologia complessiva del volto. La donna era stata scoperta nel 2018 in una grotta del Kurdistan iracheno, nota come sito di interesse paleoantropologico dalla fine degli anni Cinquanta. Il lavoro è stato documentato cinematograficamente in una produzione della BBC Studios Science Unit e distribuita in tutto il mondo da Netflix. Da 40.000 anni la specie di Neanderthal è estinta, ma nel nostro DNA sono ancora presenti molti dei suoi geni. [Fonte: University of Cambridge, maggio 2024].

 

Claustro umano: risposta a una domanda sulle tecniche di studio della connettività. L’HDFT è una tecnica ottimizzata di dMRI che supera molti limiti della DTI. Fin dal 2014, gli studi di Sudhir Pathak e Juan C. Fernandez-Miranda dell’Università di Pittsburg hanno rivelato la connettività del claustro in grande dettaglio, incluso il pattern di terminazioni delle proiezioni corticali. Oggi si combina l’HDFT con MEG, fMRI basata sul compito e fMRI nello stato di riposo. [BM&L-Italia, maggio 2024].

 

In una società senza peccato sono frequenti i problemi di cognizione morale. Il peccato, così come è concepito dalle grandi religioni monoteiste, costituisce il superamento di un limite e rappresenta il credo in un valore assoluto di verità morale: per tutti, in ogni tempo e in ogni luogo. Il potere umano di ragionare si esprime al meglio quando può disporre di elementi fissi, cui ancorare il gioco logico dei paradigmi, prova ne sia che la massima potenza di operazione cognitiva si raggiunge grazie alla matematica, lo strumento per eccellenza costituito da elementi certi (identità numerica, identità geometrica, ecc.), cui si riferiscono i procedimenti logici.

Si sottovaluta spesso un aspetto dell’etica interpretata nella dimensione individuale e vissuta nella realtà sociale: richiede dei ragionamenti per l’applicazione dei propri principi ai casi concreti; il costume globale separa la materia etica da quella logica, ignorando il fatto che tale distinzione scolastica, utile nello studio della storia della filosofia, non ha nulla a che vedere con l’esperienza di interpretare i propri valori etici nei contesti e nelle circostanze di vita vissuta. Dunque, si ha bisogno di riferimenti precisi come quelli espressi da valori assoluti per rendere al meglio in termini di scelte e decisioni in coerenza con i propri principi.

L’eliminazione di un assoluto dell’errore come il peccato, ha privato molte persone di un riferimento pratico e diretto di distinzione e scelta, così che, ritenendo di poter collocare la stessa azione in una gamma morale che va dal meritorio al riprovevole, a seconda del registro che si decide di usare, finiscono per non agire a seguito di un ragionamento o di improvvisare delle argomentazioni giustificative quando richiesti di motivare o spiegare un comportamento.

Varie inchieste sociologiche condotte per fini diversi hanno prodotto materiale che rivela, in materia morale da parte di cittadini atei e agnostici con pochi valori assoluti, ragionamenti contraddittori, incoerenti e, talvolta, paradossali, in cui le stesse azioni acquisiscono valore diverso a seconda di chi le compie, della connotazione attribuita a questi soggetti dall’intervistato e della vicinanza o lontananza affettiva da sé. Non pochi di costoro, che erano disposti ad accettare la pena di morte o l’ergastolo per gli abusi su un minore, erano così indulgenti con sé stessi da concedersi di commettere anche un omicidio, in casi particolari e prossimi ad alcune reali esperienze da loro vissute in precedenza.

Nella discussione tenuta su questo argomento al Seminario Permanente sull’Arte del Vivere, uno dei presenti ha portato l’esempio di due persone adulte atee, provenienti da famiglie agnostiche che le avevano educate a considerare il peccato alla stregua di una superstizione: alla richiesta di spiegare la loro visione morale su fatti e atti compiuti da altri o da loro stessi, entrambe cadevano in contraddizione senza avvedersene, in quanto confondevano ed equiparavano il non compiere atti puniti dalla legge col riuscire a non farsi scoprire quali autori dei delitti.

In ogni caso, la virtuale o sostanziale mancanza di una dottrina morale interiore, porta le persone a ridurre la dimensione etica alla pura forma comportamentale del rispetto delle leggi. [Fonte: Seminario Permanente sull’Arte del Vivere, BM&L-Italia, maggio 2024].

 

La scrittura criptica: psicologia del segreto, cultura del mistero o semplice necessità strategica (II parte). La volta scorsa ci siamo fermati ai grandi trattati di criptografia birmani, scritti per consentire di decifrare le scritte sulle mappe dei tesori nascosti. Oggi cerchiamo le tracce dell’origine di quel gusto di giocare con le parole, divenuto una passione fiorita nel Medioevo in tante diverse forme e poi approdato ai virtuosismi rinascimentali.

Su questo argomento leggiamo: “Alcune crittografie sembrano invece soltanto obbedire a un gioco colto, nello spirito dei poemi acrostici e degli altri funambolismi di letterati; ma questo gusto si ravviverà naturalmente in certi periodi piuttosto che in altri, in consonanza con una particolare attenzione per la funzione e il peso dell’arte della scrittura”[1].

Le prime tracce sembrano portarci ai primi decenni d.C., al capriccio creativo di letterati-scribi. Le Tavole Iliache, oltre ai riquadri scolpiti a bassorilievo in marmo (calcite) rappresentanti scene da episodi dell’Iliade, come nel frammento che si ammira ai Musei Capitolini in Roma, comprendono una ventina di lastre di bronzo del I secolo d.C.: sul retro di alcune di esse “… sono incise scacchiere di lettere disposte con andamenti regolari; partendo dalla lettera centrale e risalendo in una qualsiasi direzione, le file di lettere uguali diventano parlanti e rivelano l’autore del lavoro e il titolo dell’opera rappresentata: «Iliàs Homerou, Theodoreos he tekhné»”[2].

Possiamo considerare questo un esempio ante litteram di quelli che saranno i giochi verbali di codificazione medievali e, a nostro avviso, non c’è pressoché nulla della crittografia: il codice alfabetico della lingua è rispettato, e la lettura richiede solo che ci si prenda la briga di cercare il modo corretto di incolonnare le lettere per comporre parole e frasi di senso compiuto. Ora, se questo antecedente può essere considerato un elemento precursore, non possiamo sottovalutare il contributo dato da un altro costume culturale con un discreto seguito fra i membri delle classi più colte: il gusto di quell’alternanza di codici per la composizione di significati che è il rebus. Lo studio dei blasoni rivela il frequente ricorso a questo gioco.

L’esempio più noto è quello del blasone della casata degli Anguissola che, improvvisamente, decidono di raffigurare una serpe nello stemma, mai legata a nessuna vicenda dei membri della famiglia. La spiegazione è nella lettura in latino della figura analogica: la serpe isolata è anguis sola = Anguissola. Ma da questo uso viene quello più crittografico, se vogliamo, divenuto di moda soprattutto in Francia in seguito a una trovata del Delfino: fece ricamare sullo stendardo di guerra in grande dimensione, in oro lucente, questo rebus: una lettera K, un bellissimo cigno e una lettera L. L’erede al trono voleva che la donna di cui era innamorato sapesse che combatteva in suo onore, ma non voleva lo sapessero i suoi soldati: la fanciulla era una dama di corte di sua madre, di nome Cassinelle; così aveva rappresentato il suo nome nel rebus che, in francese, si legge Ka Cygne (leggi: “ssin”) Elle.

Nei secoli seguenti diviene un gioco scoperto e, come accade per molte mode, finisce per banalizzarsi e risultare perfino un costume ridicolo nella sua insistenza agli occhi di molti, come leggiamo in Rabelais, quando si fa beffe di quelli che chiama “gloriosi di corte trasportatori di nomi” che, per dire “speranza” (espoir) trasportano una sfera (sphere), per dire “melancolia” portano il fiore aquilegia (ancholie), in francese omofono parziale di melancholie.

Per seguire il costume dei rebus siamo andati un po’ avanti nel tempo, ma è necessario tornare indietro, per riprendere il filo cronologico del progressivo affermarsi dei giochi grafici e verbali di codifica più o meno criptica di significati.

Il Medioevo, nel suo giocare e lavorare la parola, è dominato dall’Ars Magna di Raimondo Lullo, ossia il progetto di realizzare attraverso la combinatoria matematica un procedimento universale alla base di una lingua perfetta, capace di convertire ogni popolo all’unica verità e creare concordia e condivisione di parola, pensiero e spirito. È proprio l’opposto dello studio per creare linguaggi criptici e codici segreti, eppure darà origine a una passione diffusa in tutto il mondo latino per procedimenti di combinazione grafica degli elementi alfabetici significanti, in modo da produrre come effetto nuovi e suggestivi significati.

Per comprendere il senso originario dell’impresa lulliana e la deriva che ne è seguita, è opportuno un breve approfondimento: Ramon Llull (1232-1316), latinizzato in Lullus e italianizzato come Raimondo Lullo, era un catalano nato a Maiorca, crocevia delle tre culture, cristiana, islamica ed ebraica, divenuto terziario francescano e così influenzato dal francescano Ruggero Bacone, convinto della necessità di studiare le lingue degli altri popoli per ricomporre l’unità precedente la confusio linguarum della Torre di Babele, e a sua volta influenzato dal fondatore Francesco d’Assisi che era andato a convertire il Soldano di Babilonia, o Babele, secondo il nome latino della Bibbia medioevale.

A scanso di equivoci, che possono nascere alla vista delle complesse rappresentazioni grafiche nell’opera di Lullo, la sua Ars Magna vuole essere comprensibile a tutti, e si avvale di lettere alfabetiche e figure, per poter essere appresa dagli analfabeti di qualsiasi lingua ed etnia. Le sue radici culturali sono nell’anagramma e nella Temurah cabalistica, ma la sua essenza è l’arte combinatoria, che oggi si riporta al procedimento matematico della permutazione: dati n elementi diversi, il numero di permutazioni che essi permettono, in qualsiasi ordine, è dato dal loro fattoriale, che si rappresenta come n! e si calcola come 1*2*3…*n. L’Ars Magna impiega 9 lettere, da B a K, e 4 figure: un numero basso e lontano dal totale dei segni degli alfabeti più comuni, perché se è vero come ricordava lo Sefer Yetsirah che il fattoriale di 5 dà 120, al crescere del numero degli elementi cresce il numero delle permutazioni, raggiungendo presto cifre più che astronomiche; a mo’ di esempio, Umberto Eco scrive il numero delle permutazioni ammesse da un sistema di 36 elementi: 371.993.326.789.901.217.467.999.448.150.835.200.000.000[3]. Senza un computer non ci si può azzardare nemmeno a pensare a una simile cifra!

I contemporanei di Lullo riferiscono il suo martirio per mano dei Saraceni, che aveva tentato di istruire con la sua Ars Magna, ma alcuni storici sostengono che si tratti di una leggenda. Per certo sappiamo che, oltre alla grande diffusione del “lullismo” in quegli anni, ossia all’epoca di Dante, Niccolò Cusano a due secoli di distanza riprende da Raimondo Lullo modelli, metafore e attributivi divini.

Nel secolo successivo si rende evidente una differenza culturale fondamentale tra i fenomeni di codificazione che si sviluppano in seno alla cultura cristiana europea a radice greco-romana e la scrittura cifrata nella tradizione araba: nel primo caso si afferma e si consolida un fondamento di tecnica logica, nel secondo caso rimane prioritaria la radice di credenza nel potere magico delle forme scritte della parola umana.

La menzione di Leonardo da Vinci è d’obbligo perché, se è vero che si sa da lungo tempo che la scrittura speculare non aveva intento criptografico ma era un esercizio di bottega praticato da molti altri pittori per migliorare la simmetria nel disegno, è pur vero che l’insuperato e poliedrico genio ci ha lasciato su vari manoscritti numerosi esempi di codifiche in cui integrava scritto e figure (rebus) in una sorta di gioco per sé solo, a margine del lavoro che stava compiendo. Ad esempio, lui stesso spiega questo rebus: “orso” e “chome” (per chiome) vuol dire “Or so come”; in un altro manoscritto (Ms Madrid f. 94v) disegna un sole radiante e una “N” maiuscola per “Solenne”, secondo alcuni come parte terminale della cifratura di un verso di Bernardo Bellincioni: Per lui ogni rimedio, o ben sol enne. [BM&L-Italia, 25 maggio 2024].

 

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BM&L-25 maggio 2024

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[1] Giorgio Raimondo Cardona, Storia Universale della Scrittura, p. 108, Edizione CDE (su lic. Mondadori), Milano 1986.

[2] Giorgio Raimondo Cardona, op. cit., idem.

[3] Cfr. Umberto Eco, La ricerca della lingua perfetta, p. 63, Edizione CDE (licenza Laterza e Figli), Milano 1993.